Se ne parla spesso, da sempre, e ultimamente anche di più: le mamme, soprattutto quelle future, non hanno vita facile a livello lavorativo quando capitano nelle grinfie delle aziende sbagliate o sono poco informate.

Esistono, però, moltissimi strumenti di cui è possibile usufruire, messi a disposizione da una normativa che è sempre più attenta al tema. Innanzitutto, da ricordare è l’articolo 37 della Costituzione che assicura a madre e bambino una speciale adeguata protezione: tra le tante tutele previste e riconosciute, ad esempio, si inserisce la “richiesta part time per maternità“.

Di cosa si tratta, esattamente, e come funziona?

La normativa

Quello che si va a tutelare, in questi casi, è la conservazione del posto di lavoro e, contestualmente, il mantenimento dei propri diritti; inoltre, a fronte di un licenziamento è previsto anche il mantenimento di una indennità economica, differenziata a seconda del momento in cui si trova la lavoratrice (periodo obbligatorio o congedo parentale).

La normativa di riferimento è il Testo unico sulla maternità e paternità (D.Lgs. 151/2001), che determina i periodi di astensione obbligatori e facoltativi: periodi che, però, poiché  possono non risultare sufficienti, potrebbero culminare in una richiesta, da parte della lavoratrice, di una trasformazione del suo contratto da full time a part time, talvolta anche in alternativa al congedo parentale.

Insomma, tutto dipende dalle specifiche esigenze della singola lavoratrice.

Di norma, si ha:

  • un periodo iniziale – due mesi precedenti la data del parto;
  • un periodo a posteriori – tre mesi successivi al parto;
  • in caso di parto in ritardo, anche il conteggio del periodo compreso tra la data presunta e la data effettiva dell’evento.

Inoltre, in caso di condizioni di salute non buone (ovviamente certificate), è previsto anche il congedo flessibile, cioè la possibilità di posticipare la data di astensione a partire dal mese precedente la data presunta del parto e per i 4 mesi successivi.

Vi è, poi, come sappiamo, il congedo parentale, cioè l’astensione facoltativa della lavoratrice, a monte del già trascorso periodo di congedo di maternità, per un periodo (continuativo o frazionato) non superiore a 6 mesi.

La trasformazione del contratto da full time a part time (possibilità introdotta con il Jobs Act, D.Lgs. n. 81/2015, art. 8, co.7) si inserisce in uno scenario in cui anche quest’ulteriore flessibilità non si sia resa sufficiente per la lavoratrice per portare avanti al meglio sia la vita familiare che quella lavorativa: in questi casi, infatti, pensare di adempiere ad un tempo pieno sarebbe comunque impossibile.

In particolare:
Il lavoratore può chiedere, per una sola volta, in luogo del congedo parentale od entro i limiti del congedo ancora spettante ai sensi del Capo V del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, purché con una riduzione d’orario non superiore al 50 per cento. Il datore di lavoro è tenuto a dar corso alla trasformazione entro quindici giorni dalla richiesta“.

Questa facoltà, come quella equivalente per il congedo parentale, è consentita entro i 12 anni di vita del bambino (o dall’ingresso del minore in famiglia in caso di adozione o affidamento): si tratta di un diritto della lavoratrice a cui il datore di lavoro non può sottrarsi (nel limite massimo però del 3% di tutti i lavoratori dell’azienda).

Per esercitarla, va presentata una richiesta di variazione dell’orario – con un preavviso di 60 giorni – indicando il periodo di riferimento.

Una tutela importante e da conoscere nel dettaglio perché la maternità non diventi più un ostacolo alla vita lavorativa e alla carriera!

 

Hai intenzione di fare richiesta del congedo parentale o di trasformare il tuo impiego da full time a part time?

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